27/01/2018
I deportati sardi: la Sardegna ha pagato un prezzo altissimo
In questi giorni, in Sardegna, ricordando le tragedie della Seconda guerra mondiale e i milioni di destini di uomini che essa travolse, si parla anche dei deportati sardi. Già i deportati: una categoria di protagonisti di quella immane tragedia che si pensava non avesse visto la presenza di nostri conterranei, invece Aldo Borghesi, professore nell'Istituto magistrale di Sassari ha dimostrato, con i suoi studi, che anche i sardi conobbero la deportazione. La Sardegna è una delle regioni che ha pagato un altissimo tributo di deportati, politici e militari: furono circa 12.000 mila i soldati sardi IMI (Internati militari italiani) rinchiusi nei lager e fra i 750-800 mila militari fatti prigionieri dai nazisti dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Ai 12.000 deportati sardi IMI occorre aggiungere circa 290 sardi, internati perché ebrei o dissidenti politici. Di questi il 50% erano nati nell'attuale provincia di Sassari, il 40% in quella di Cagliari, 10% in quella di Nuoro. 91 di loro morirono certamente nei campi, si hanno notizie certe di 30 morti a Mauthausen su 60 deportati, 9 a Buchenwald, Dachau e Dora, 7 a Flossenburg. La destinazione non era univoca: alcuni venivano deportati verso Mauthausen, altri a Dora ecc: Un terzo dei deportati sardi passò per Dacia, un altro per i campi di Fossoli e Bolzano. I deportati venivano spostati secondo le esigenze produttive in base alle quali erano impiegati e prima della liberazione, mentre il fronte procedeva, si succedevano brutali trasferimenti, verso i campi all'interno del Reich. Fra gli ebrei "sardi" deportati ci furono anche tre donne. Una fu Elisa Fargion, nata a Cagliari nel 1891, trasferitasi poi a Ferrara, qui arrestata con il marito tra il 1943 e il 1944, e uccisa appena arrivati a Birkenau (con lo stesso convoglio che vi portò Primo Levi). L'altra fu Vittorina Mariani, nata a Porto Torres nel 1904, arrestata con tre sorelle e un fratello presso Milano nell'aprile del 1944, tutti deportati a Bergen Belsen e tutti usciti fortunatamente vivi da quell'inferno. La terza fu un personaggio più conosciuto, Zaira Coen, mantovana di nascita ma maritata con l'ingegnere sassarese Ignazio Righi: a lungo insegnante nelle scuole superiori di Sassari espulsa dalla scuola in conseguenza delle leggi razziali, arrestata a Firenze con la sorella Ione all'inizio del 1944, è morta insieme a lei nella camera a gas appena arrivata ad Auschwitz. Gli altri deportati arrivano ai Lager da luoghi e per motivi più diversi. Arrestati tutti - o perché conosciuti come nemici del fascismo o perché catturati nella lotta partigiana - in Alta Italia, dove molti erano emigrati per lavoro. Il più famoso è certo il cagliaritano Bartolomeo Meloni, ispettore delle Ferrovie a Venezia, che compi una serie di sabotaggi deviando verso la Jugoslavia convogli di prigionieri alleati perché li fossero liberati dai partigiani di Tito: scoperto, arrestato e torturato, mori nel luglio 1944 a Dachau. Ognuno dei 290, quelli che sono rimasti lontano e quelli che hanno avuto la fortuna di tornare, tutti hanno una loro storia: come quella di due Biddau, padre e figlio, il primo nato ad Ardara, il secondo a Genova, operai metallurgici a Sestri Ponente: arrestati come partigiani, riuscirono a restare insieme a Dachau, dove però il padre mori pochi giorni prima dell'arrivo degli alleati. O quella di don Mario Crovetti, sassarese di nascita, che l'ha potuta raccontare al ritorno da Mauthausen, Gusen e Dachau: parroco di Roncoscaglia, nel Modenese, fu arrestato nell'estate del 1944 perché sospettato di favorire i partigiani della zona. Fino alla sua scomparsa nell'estate 2003 fu il decano dei sacerdoti italiani reduci dai Lager. O anche Modesto Melis di Gairo, trasferitosi nel 1938 nella nascente Carbonia, per fare l'operaio, finirà a Mauthausen. Oggi ha 93 anni e la sua esperienza sarà raccontata in un libro: “Da Carbonia a Mauthausen e ritorno”. A testimoniare che i sardi sono un popolo atavicamente forte sono sopravvissute il 60% delle persone deportate.